da A. Serrao, A piene mani, La Vita Felice 2016.

Se potessimo restare
Se potessimo restare
visibili nel buio
come questi grappoli di stelle
che si annientano di luce
o rimanere accesi sempre
-senza dolore come sassi-
abbacinati
dal via vai
di lucciole.
Farci interi
in quella
nenia continua che fa il mare
o farci uno in una morte
immobili nell’urto:
due ali tese
tra il finito e il niente,
impazzire per un sì.
Ma credeva davvero di spezzare il mare
la voce di un poeta?
Forse ci sperava:
dire amore
abbracciati in una rete
e si disperde seme per le mani
qui dove restano incastrate le conchiglie.
Come faccio a spiegarti Milano
Come faccio a spiegarti Milano
in certe mattine d’autunno
gli uomini fumano – tu fumeresti –
aspettando il Treviglio.
E sempre s’incontra in uno sguardo
la notte precedente; tu non vorresti
mi guardassero le mani ed è
una congiura di coincidenze.
All’ingresso volantini del Divina,
la settimana della moda, la Feltrinelli
senza chitarre nella vetrina.
E ha un singhiozzo, stamane, Milano.
A un certo punto bisogna
lasciare stare, o diventa
chirurgia, accanimento,
bisogna smettere questa resistenza
che si fa con la poesia.
Le porte si aprono a destra
Sant’Ambrogio. Fermata Sant’Ambrogio. Le porte
si aprono a destra. Una nessuna centomila
storie smettono la metro, la convivenza
e ciascuna ha ancora un luogo di caffè
e non riposa. Frulla sulla corsa
l’odore della cioccolata, freddo quando l’ora
semplicemente accade. Nel fuoco
dell’orizzonte tutte le cose
a farmi certa e il minuto perfettibile
di tutti con gli occhi sull’orario.
Sfocatura errante dello sguardo
raccoglie l’incipit e il tuo racconto scende
il vagone la valigia il prima scarmigliato
e coi cuissardes non più in attesa
oltrepassare la linea gialla.
***
C’era un tavolo – ultimamente
ci sono molti tavoli apparecchiati –
ed è successo una radice che
si ostina come un gesto colloquiale;
no, c’è solo il legno circolare
e la tua terra dura che debilita.
E c’era vicina la persona
-che era l’idea di qualcun altro- chiede
se ero proprio io la compagnia
che giustifica il fumo recente.
No, e dopo il ritardo c’è solo
un attacco di male senza scudo
e misura. Senza nemmeno ironia.
C’era una sofferenza eccedente
più muta del gesto
che sposta a lato il bicchiere.
Vedere
Non mi guardi più non mi riguardare,
comincia una pioggia che mischia
l’odore del pane all’asfalto;
e per amore o per spavento
vedere mi estrania ed è uguale:
cade un’ustione vasta nel niente,
la pelle un contorno.
Eppure col cuore sopra il cuore
a un punto certo – è stato!
La pioggia cadeva più forte
ombrelli chiusi, pozzanghere
in mezzo al viale.
E negli inguini ciechi ti ho patito:
quando abbiamo amato
se non salvo almeno è stato vero,
l’ansa degli occhi offriva
completamente lo sguardo.***
Ha continuato a girare la pasta,
un’apnea lunghissima,
le hanno detto smettila, ha continuato
ad avere cura del sugo,
a dire non va via non va via dalle mani
l’odore del pesce.
La bocca aperta e richiusa, l’aria
era quella di frittura.
Lascia andare, lascia, hanno tolto
il mestolo, il battito del cuore, muto.
L’aria si è fatta acre e pungente,
non va, sta morendo.
Agnizione
Il gioco delle carte e per te perdo,
mi dici: io lo so da prima quando sei tu
ti sento come nello stomaco.
E resto, la bocca semiaperta
il bianco esterrefatto della sedia.
Lo ricordo come un segno una promessa,
come se i tre giri dell’anello sulle dita
mi facessero più certa.
Sbatto la pupilla, e io lo so da cieca:
nella pancia è tuo il succo il sangue geme
è mia la pelle che ti riveste le ossa.
Rinascita
La rinascita era qui:
sul pontile scambiarsi i nomi,
tre aggettivi, e fare muti tutti
gli umori gli esili fili dei viaggi,
come la cerva trafitta sui fianchi,
il sangue inseguito nella scia e sempre
il gemito del sì, la sillaba
che ti consacra e riconosce.
È possibile? Avere meno memoria
e più staminali in mezzo alle cellule.
La mano alla tua mano qui
si uncina, amore, ti ricordi? Si
salda la metà esatta della vita.