Racconti metropolitani – Città innamorata

#raccontimetropolitani: città dai bastioni di Porta Romana

Fa una sterzata brusca con la guida, sorpassa, dice “non avere paura”. Il semaforo è rosso mentre mi trattiene la mano sul cambio, alza il volume, è sicuro. “Dai, tirala fuori la voce che sei capace, se vuoi!” Mi fa sbagliare la strofa, anticipare l’attacco sulla via Novara. Ride di gusto. Sfotte, mi ripete il la, l’intonazione. Dice “saresti da registrare, da risentire ogni sera cento volte prima di dormire”; mette in folle senza spegnere il motore. Dice – ti potessi alzare il canto, il sì dal cuore.

Alice Serrao

Racconti metropolitani – Il peso

Banchina della linea verde – Sant’Ambrogio

Si dondola davanti alla cartina suburbana delle linee metropolitane; mora, i capelli scarmigliati raccolti in una coda; scodinzola come il suo cane, di cui dice: “Pesa quattordici chili e mezzo – fa una pausa di intensa riflessione prima di condividere il suo calcolo con tutta la banchina in attesa della verde, a Sant’Ambrogio – allora io peso il doppio del mio cane!” Grida i suoi 26 chili nel disappunto della madre a cui non quadra il conto.

Mentre l’ascolto penso che imparerà col tempo a non dire più il suo peso, le insegneranno anche a barare sugli anni che ora rivendica nell’entusiasmo di poterli spiegare con due mani! O al più, se sarà obbligata a rispondere, saprà giocare meglio i suoi numeri, i chili conterà soltanto quelli persi, indicherà il suo peso sempre come la metà di qualcos’altro. Avrà, come sua madre, un trench adatto per la stagione e capelli fermati da un elastico discreto nel colore.

Eppure, stupendamente, la femminilità in questi piccoli anni è anche avere quella macchia di prato sulle collant, e non curarsene affatto.

(24 Aprile 2013)

Racconti metropolitani – Somiglianze

linea rossa-linea verde. Interscambio Cadorna

Scende le scale con la fretta dell’appetito, dei ragazzi all’uscita dal liceo. Lo guardo perché somiglia a qualcuno. Non sono solo i capelli gli occhi azzurri, soprattutto è l’espressione scanzonata del viso. Riconosco e mi vengono in mente molti chilometri fatti in piedi, lungomare, sul portapacchi di una bici. Mi dicevi: “In verità non siamo mai obbligati; ‘si deve’ vale solo per morire”. Ho usato spesso questa frase. – Ridacchia con le ragazze del gruppo, capelli lunghi e un vestire conforme a Milano. Quando sale sulla metro tutto quel traffico di zaini viene a un senso. Tira fuori un quaderno su cui ha scritto ‘ho fame’. Lo mostra scimmiottando i mendicanti, sono le dodici e tre quarti, rido. Anche questa ilarità ti somiglia. “Permesso”. Fa spazio alla zingara che gli viene alle spalle con lo stesso cartello. I ragazzi si danno di gomito, noi due incrociamo lo sguardo, dice agli amici “anche lei sta ridendo”. Scendo sulla banchina dove una donna si raccoglie le calze sopra le gambe. Accanto a lei un uomo già ubriaco ha le cuffie alle orecchie. E canta forte: “Non si muore se si…” – e la metro in arrivo brucia il finale.