Memorie di un incontro straordinario

Capita a volte che, facendo ordine tra i ricordi, archiviando fotografie in cartelle digitali per rendere forse un po’ più sicura la nostra memoria, una foto spunti con incisività e potenza sotto i nostri occhi.

Questa foto ritrae uno tra i miei ricordi più belli e preziosi: il mio primo incontro con Maria Luisa Spaziani, avvenuto a Palazzo Cusani, a Parma, nel Giugno 2012. E’ stato proprio in quella circostanza che mi aveva invitata a casa sua, a Roma.

Mi sembra di poterla ancora vedere, la stanza, la libreria, il tavolino, il divano su cui deve essere stato seduto Silvio Raffo il pomeriggio che, proprio da casa Spaziani, mi aveva chiamata dicendo: “Sto sfogliando la sua tesi…”.

Ogni tanto me la ripeto tra i pensieri la dedica che Maria Luisa mi ha scritto sul Meridiano, una semina gentile, un passaggio di testimone.

Alice Serrao e Maria Luisa Spaziani, Palazzo Cusani, Parma, Giugno 2012.

Alice Serrao

GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

21 MARZO 2018 – GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

“Sono nata il ventuno a primavera” scrive Alda Merini. Un verso che non si può non citare, oggi, primo giorno di primavera, Giornata Mondiale della Poesia.

La poesia venne a cercarmi – Neruda si rivolge a lei come se parlasse a una donna, dice – da una strada mi chiamava“. L’ispirazione poetica è volubile come Angelica: spinge l’uomo alla ricerca di una necessaria e inattingibile Bellezza, che affascina e fa smarrire. Orlando che non riesce a deflorare Angelica da innamorato si fa furioso.

Il cuore di quel fiore è il mio mistero” – questo verso della Spaziani è luminoso come una Stella polare e fa da guida alla Traversata dell’oasi.  Perché la ricerca della parola serve a dare la direzione più che la meta. Il desiderio dell’uomo è orientato a cogliere il segreto delle cose per circoscriverlo in una parola esatta e precisa, nitida ed evocante. Eppure è intrinseca nell’umano questa inesattezza lessicale, questa frustrazione del non avere mai detto abbastanza bene, e la parola, precisa come il Verbo e la Verità, sembra sempre sfuggire di un passo, essere avvicinabile per giri concentrici, solo per intuizione.

Chi ha lottato con l’Angelo porta sempre un segno – scrive la Spaziani. E la sua Giovanna d’Arco lo sperimenta. Il poeta sa che il dono si porta come una ferita originale, un chiodo della croce, brucia e dilania come la luce o una maledizione. Quod me nutruit, me destruit. D’altronde, si deve aver sentito la vita intensamente, essere stati molto in alto e molto in basso, per scrivere bene, ricorda Ende. La poesia bisogna sentirla nella carne, come un maschile che schiude, eleva e buca e manca nella sottrazione. Una volta un saggio mi disse: “se non ti fa soffrire, non è poesia“.

Al genio (un’ispirazione questa volta maschile) devi “prestargli subito la mano” scrive la Spaziani riprendendo quel ditta dentro dantesco. La voce scandisce dentro, tra le viscere e il costato, un dettato feroce ed urgente. Prevede che tu senta tirare i lembi alla ferita, la china la punta della stilografica mentre affonda, prevede che tu senta in uno stato alterato di coscienza che la vita è potente e sanguina e brucia. Perché tu possa così restituirla agli altri come una profezia, dopo che Apollo ha posseduto la Sibilla. Luzi invocava: “Cantami qualcosa pari alla vita“.

Perché la dai a tutti, tranne che a me, che ho bisogno di poesia?- allude la malizia di un poeta pescato da un’antologia. Perché a volte la poesia sta zitta. Tace per anni; non detta più una sillaba. Il silenzio ti fa temere la perdita del dono. “E poi si fa viva all’improvviso un giorno che ero al supermercato” mi ha raccontato qualche tempo fa la Valduga.

Quando non ci stai pensando più, viene a cercarti come se niente fosse, come una donna volubile da una strada: ti chiama per nome a un’ubbidienza. Può essere stata in letargo per anni, acquattata nel largo del respiro, ma appena la senti rifiorire in un endecasillabo, dare la lingua ritmica degli a capo a un pensiero, qualcosa in te si sazia e rasserena, come un dio che ti parla e soffia scandendo sillabe nel sangue. E allora lo sai d’improvviso: sei salva.

 

Ars Poetica

È finita – e credo lo dica per fare una prova
per vedere il suono, se taglia la bocca;
una parola all’inizio che non significa.
Quello che ti fa soffrire amore
non si estirpa, mi fa da chiodo e da casa,
amore chiedermi cosa venga prima
tra te e la poesia
è un vespaio terribile e nuoce
è come scegliere tra il sangue e il mio nome.
Amore la poesia è il modo in cui sto
con le cose. Onora il dono come tua madre.
Forse non ho saputo spiegare bene,
se hai sentito che brucia,
se dici – ti lascio è finita.

(4.10.2017)

Alice Serrao

a Maria Luisa Spaziani

                                                              a Maria Luisa Spaziani
***

Se fossi stata meno anziana, meno anni,
e per tesi e per sorte, fossi capitata prima
alla porta alta della tua casa romana,
ti avrei scelta come mia maestra.

Ti ha riconosciuta un’elezione del cuore,
un fiore misterioso dentro il verso.
La percezione che in te
resistesse ancora il Novecento.

Ti avrei letto le mie poesie. Ascoltato.
Avrei imparato un canto potente e vita.
Ma sei morta in una giornata estiva
e la tua voce è una pagina, un Meridiano.

(22 Febbraio 2016)

Qualche sera fa ho termianato di leggere Chirù di Michela Murgia; e mi è piaciuto. Mi sono soffermata su un paio di riflessioni. La prima riguarda l’affermazione che alla base della scelta di prendere sotto la propria ala un alievo c’è l’attrazione, il desiderio. Un desiderio che intenderei come interesse profondo verso qualcuno in cui intravediamo una somiglianza e una diversità, un’attrazione che parafraserei in curiosità verso l’altro. Questo genere di relazione, di riconoscimento anche, parte dalla consapevolezza di un’affinità elettiva. Un colpo di fulmine.
Anche se poi la Murgia innesca un altro tipo di scandaglio sulle dinamiche di relazione, io mi sono interrogata dalla prospettiva sia di chi insegna, sia di chi impara. Abbiamo bisogno di maestri. Nel senso più ampio che ha questa parola. Mi sono chiesta chi siano i miei e ho deciso di condividere quanto meno una delle risposte.
Per quanto riguarda la poesia, la persona che avrei scelto di frequentare, nel quotidiano di una relazione artistica ma ancha umana, sarebbe stata la Spaziani. Mi è tornata in mente senza preavviso una frase che mi aveva detto durante una conversazione a casa sua: “Avremmo dovuto conoscerci prima”.
Ecco come è nata questa poesia.

nb
La scelta delle quartine così come il v.6 hanno il chiaro intento di un omaggio, dal momento che la quartina è la forma privilegiata della scrittura dell’ultima Spaziani e nello specifico dell’opera “La traversata dell’oasi” su cui ho fatto la tesi. Mentre il suo verso “Il cuore di quel fiore è la corrosa/ medaglia del mio viso, il mio mistero” è stato il faro, il filo rosso, alla luce del quale ho letto e analizzato il Meridiano che l’ha consacrata a ineludibile paradigma della poesia lirica del Novecento.

Alice Serrao