Vorrei condividere con voi una sintetica rielaborazione del mio discorso sul poeta Giorgio Caproni, che ho tenuto giovedì 22 Ottobre 2015 alla Biblioteca di Senago. Colgo inoltre l’occasione per ringraziare quanti hanno partecipato alla serata.
La poesia di Caproni (1912-1990) si offre al lettore come una passeggiata attraverso le raccolte, ciascuna delle quali costituisce la tappa di un viaggio, che partendo dall’esperienza reale, si inoltra in riflessioni di carattere esistenziale.
Per ragioni di chiarezza espositiva ritengo opportuno strutturare il mio articolo in tre punti:
1) I Versi livornesi (1954-58), costituiscono il nucleo principale della raccolta Il seme del piangere (1950-58); essi riuniscono 22 poesie dedicate alla madre Anna Picchi e sono di una tale schiettezza e trasparenza, che sembra davvero di sentire l’odore delle camicette di lino o l’odore del mare; di sentire il fruscio delle gonne svolazzanti nel vento di Livorno, città simbolo dell’infanzia. Caproni descrive «la-mamma-più-bella-del-mondo» con uno sguardo anacronistico e trasfigurante. Anacronistico perché Annina è colta nel tempo della sua giovinezza, quando il poeta ancora non poteva conoscerla; trasfigurante perché ne parla con toni stilnovistici, di innamorato più che di figlio. L’erotizzazione della madre non deve essere letta in chiave edipica, ci spiega Agamben, perché nel laboratorio della lingua, Caproni ne fa qualcosa d’altro: la rende un personaggio che, pur avendo a che fare con la madre, acquista un significato ulteriore. Nell’antropologia poetica di Caproni, Annina subisce un procedimento simile alla Beatrice dantesca, segnando il compimento di quella trasfigurazione delle figure parentali avviata, ma non risolta, da Pascoli.
2) Il tema del viaggio e del congedo rappresentano due coefficienti poetici fondamentali, presenti trasversalmente in tutte le raccolte. Basti pensare già ai titoli Il passaggio di Enea (1943-55) o al Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1960-64). Il viaggio viene delineato sia in termini di spostamento fisico, sia nei termini allegorici di viaggio-vita. In entrambi i casi è possibile rilevare, a mio avviso, una dimensione passiva, come se il viaggio venisse subito e non scelto. Raboni suggerisce acutamente la chiave interpretativa dell’esilio: Caproni sarebbe per tanto un esiliato dalla vita, dalla quale non fa altro che prendere congedo. Tuttavia, è un esule che rimanda il momento del distacco prolungando all’infinito i saluti: ritengo, infatti, che una giustificazione di questi ripetuti congedi sia da ricercarsi nel fatto che Caproni non vuole sinceramente andarsene via, in esilio appunto. Lo trattiene, forse, il bisogno di cercare ancora qualcosa. Non per niente, infatti, il tema del viaggio si declina anche come tema della caccia e della ricerca, come si può vedere nel dittico Il franco cacciatore (1973-82) e Il conte di Kevenhüller (1979-86).
3) Res amissa è l’ultima raccolta poetica, uscita postuma nel 1991; in essa arriva a compimento il discorso poetico condotto da Caproni. Il titolo, in latino, significa “cosa persa”, “cosa perduta” e fa riferimento a una questione di carattere teologico, sulla quale si erano già confrontati Agostino e Pelagio. Per Caproni, la res amissa costituisce il dono che l’uomo ha in dote e che perde venendo al mondo; un dono di cui conserva solo la nostalgia, che lo spingerà a ricercarlo vanamente per tutta la vita. Un discorso che ha affinità col romanticismo tedesco. Caproni aggiunge, poi, che è stato lo stesso uomo a nascondere il dono così bene, da non ricordare più dove si trovi. Per tanto l’inconoscibilità del dono e l’impossibilità da parte dell’uomo di appropriarsene costituiscono un’interessante chiave interpretativa proposta da Agamben.
Attinente al tema dell’inappropriabilità, è il problema di Dio, che Caproni affronta non tanto in termini di esistenza o non esistenza, quanto piuttosto dal punto di vista dell’uomo. Cosa cambia, ovvero, all’uomo se Dio esiste o se non esiste? Il poeta, attraverso componimenti sempre più ossimorici e paradossali, in un qualitativamente alto contorsionismo linguistico, inscena la morte di Dio e si allinea al pensiero di Nietsche, dilagante in Europa. Nella realtà destrutturata dal Novecento, a cui si accompagna la destrutturazione del testo poetico, Dio è morto e ha lasciato nel Cielo un posto vuoto, impossibile da ignorare. Alla luce di ciò, l’unica soluzione tollerabile per l’uomo è credere a un Dio, pur sapendo che non esiste.
La poesia è il luogo in cui Caproni cerca inutilmente di trattenere ciò che gli sfugge: di trattenere la madre, il tempo, i luoghi e la vita, ma si scontra con la dimensione dell’ineffabilità del linguaggio e dunque è la poesia stessa a divenire sfuggente. Una poesia in cui ha avuto luogo la scomposizione e ricomposizione della realtà, dell’uomo e del divino così come li conosciamo, consegnando al Novecento una eredità difficile da eludere ma quasi impossibile da accogliere.
Alice Serrao
Bibliografia:
G. Caproni, Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1999.
tutta la mia ammirazione Alice
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Grazie Massimo!!! 🙂
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Un grazie di cuore per l’ineguagliabile maestria con la quale hai saputo interpretare prima, ed esporci poi, i versi di Caproni…..serata indimenticabile…zia Stefy
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Grazie per essere venuta! Sono contenta di essere riuscita a far appassionare a questo poeta! A.S.
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Complimenti sei stata bravissima
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Grazie! 🙂
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